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Previdenza: come ripensarla nell'ambito della riforma

Dal passaggio dal sistema retributivo a contributivo, fino all’annunciato superamento della Legge Fornero, che inserirà la cosiddetta quota “cento”. Ovvero, si dovrà arrivare a cento tra anni lavorati ed età anagrafica, per poter andare in pensione. Di tutto questo si è parlato durante la seconda serata dedicata all’educazione finanziaria, che è andata in scena mercoledì sera alla sala 2000. Dell’importanza del “patto generazionale” e della «conoscenza della direzione in cui sta andando il sistema pensionistico, di cui sentiamo parlare continuamente sui media», ha parlato anche il vicesindaco Simone Saletti, portando il saluto dell’Amministrazione. «Esiste un meccanismo di giustizia – si è appreso durante la serata – che prevede un equilibrio tra i risparmi versati durante l’attività lavorativa e l’aspettativa di vita». Ma nel sistema attuale, il patto intergenerazionale che dovrebbe garantire l’equilibrio del sistema non ha funzionato sempre. Anche perché, «in una società che invecchia – ha spiegato al pubblico Alessio Chinaglia, del gruppo Alleanza – sono sempre meno coloro che pagano le pensioni a chi oggi gode della previdenza». In quest’ottica sono andate le due grandi riforme attuale: la Riforma Dini del ’95, che ha permesso di passare dal sistema puramente retributivo (con fondi investiti a capitalizzazione) a quello misto-contributivo, fino alla tanto discussa Riforma Fornero. Attualmente, però, l’Inps incassa 212 miliardi di euro, ma ne spende per le pensioni correnti 250 miliardi. «Il rapporto che un tempo vedeva quattro lavoratori per ogni pensionato, vede oggi 0,8 lavoratori che pagano una pensione. Per questo, i governi devono fare i conti con la “coperta” corta: trattenendo più a lungo le persone al lavoro, o incidendo sulle pensioni. In Italia, la proposta di quota “100” riprende alcuni aspetti delle riforme precedenti. Andremo incontro ad una vita lavorativa che durerà almeno fino a 64 anni e con 36 anni di contributi», dice Chinaglia. In ballo, c’è anche la proposta della quota “41”, che però vale soltanto per alcune categorie, come ad esempio per chi assiste una persona disabile o un lavoratore usurante. «La pensione del futuro – precisa Indrit Myhyrdari – sarà circa il 65% della media dei compensi degli ultimi anni. Tra le soluzioni praticabili, la possibilità di integrare con un 15% derivante da una pensione complementare. Anche con il Tfr che, se inserito nei fondi pensione, può essere tassato tra il 15% e il 9%, ma nonostante questo le adesioni nel nostro Paese sono state poche». Non tanto per un problema informativo, ma per una questione, al tempo, culturale «e psicologica. Il motivo? Le persone hanno come modello chi è in pensione ora, ma in futuro il sistema pubblico non garantirà più una pensione sufficiente».

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